RIFLESSIONI

Giuseppe – Gesù

P. Guido Bendinelli OP Quaresima 2022

Dal libro della Gènesi Gn 37, 3-4. 12-13. 17b-28
“Israele amava Giuseppe più di tutti i suoi figli, perché era il figlio avuto in vecchiaia, e gli aveva fatto una tunica con maniche lunghe. I suoi fratelli, vedendo che il loro padre amava lui più di tutti i suoi figli, lo odiavano e non riuscivano a parlargli amichevolmente. I suoi fratelli erano andati a pascolare il gregge del loro padre a Sichem. Israele disse a Giuseppe: «Sai che i tuoi fratelli sono al pascolo a Sichem? Vieni, ti voglio mandare da loro». Allora Giuseppe ripartì in cerca dei suoi fratelli e li trovò a Dotan. Essi lo videro da lontano e, prima che giungesse vicino a loro, complottarono contro di lui per farlo morire. Si dissero l’un l’altro: «Eccolo! È arrivato il signore dei sogni! Orsù, uccidiamolo e gettiamolo in una cisterna! Poi diremo: “Una bestia feroce l’ha divorato!”. Così vedremo che ne sarà dei suoi sogni!». Ma Ruben sentì e, volendo salvarlo dalle loro mani, disse: «Non togliamogli la vita». Poi disse loro: «Non spargete il sangue, gettatelo in questa cisterna che è nel deserto, ma non colpitelo con la vostra mano»: egli intendeva salvarlo dalle loro mani e ricondurlo a suo padre. Quando Giuseppe fu arrivato presso i suoi fratelli, essi lo spogliarono della sua tunica, quella tunica con le maniche lunghe che egli indossava, lo afferrarono e lo gettarono nella cisterna: era una cisterna vuota, senz’acqua. Poi sedettero per prendere cibo. Quand’ecco, alzando gli occhi, videro arrivare una carovana di Ismaeliti provenienti da Gàlaad, con i cammelli carichi di rèsina, balsamo e làudano, che andavano a portare in Egitto. Allora Giuda disse ai fratelli: «Che guadagno c’è a uccidere il nostro fratello e a coprire il suo sangue? Su, vendiamolo agli Ismaeliti e la nostra mano non sia contro di lui, perché è nostro fratello e nostra carne». I suoi fratelli gli diedero ascolto. Passarono alcuni mercanti madianiti; essi tirarono su ed estrassero Giuseppe dalla cisterna e per venti sicli d’argento vendettero Giuseppe agli Ismaeliti. Così Giuseppe fu condotto in Egitto.”

Nel periodo quaresimale la liturgia propone la lettura della storia di Giuseppe venduto dai propri fratelli come schiavo a una carovana di Ismailiti. La gelosia domina sovrana tra i figli di Giacobbe che, accecati da questa, ordiscono la congiura ai danni del prediletto.

Giuseppe, figlio di Rachele la moglie più amata da Giacobbe, gode di una posizione speciale, veste diversamente dagli altri, sogna e ha visioni, mostra una spiccata sensibilità umana. Insomma, per questa ed altre ragioni egli risulta odioso agli occhi degli altri fratelli, che rosi dall’invidia, giunta l’occasione propizia, decidono di toglierlo di mezzo. In un primo tempo lo gettano in una cisterna, poi in un secondo sfruttano il passaggio di una carovana di nomadi ismailiti e lo vendono al prezzo di venti sicli d’argento; al padre Giacobbe riferiranno semplicemente di avere ritrovato la tunica imbrattata di sangue e di sospettare la sua uccisione da parte di un animale feroce.

L’episodio è assai istruttivo, perché propone il quadro realistico di una famiglia in cui il nome di “fratelli” fa rima in verità con quello di “coltelli”, ossia con il risentimento e l’odio. Onestamente non si può negare che Giuseppe con i suoi modi da “sognatore” e da “prima donna” avesse in parte provocato tanta gelosia; ma è anche altrettanto vero che la spiccata personalità del figlio di Rachele svettasse sui modi più rozzi degli altri dieci. Le invidie nascono dalla non accettazione delle qualità del prossimo, avvertite quasi come una denuncia della nostra mediocrità, la sua eccellenza come una messa in discussione della nostra povertà! Guardiamoci dall’invidia, che impedisce di riconoscere il dono di Dio che si manifesta nel carisma della persona. Anziché rammaricarcene, rallegriamocene! Liberandoci dalla paura prodotta dall’eccellenza del fratello, riusciremo ad apprezzare meglio anche i doni affidatici da Dio!!

È il primo grande messaggio che la Quaresima, tempo di conversione trasmette a noi: tenere lontano dalla famiglia di Dio, che è la Chiesa, quei sentimenti che ne avvelenano l’aria: vivere da fratelli, non da competitori, riconoscersi consanguinei e non estranei, comproprietari degli stessi beni e non accumulatori che escludono da essi l’altro.


La storia di Giuseppe poi più in profondità anticipa per noi anche un altro mistero, quello del Figlio di Dio, che spogliò sé stesso, della sua condizione divina e si fece servo sino alla morte di croce per la nostra salvezza. La vicenda, infatti, narra come proprio il fratello maltrattato, venduto come schiavo, destinato a una vita di abbassamenti e innalzamenti (da figlio prediletto a schiavo, da maggiordomo onnipotente di Potifarre a prigioniero nelle galere di Faraone e infine da qui a ministro del gran re), sarà colui che salverà i fratelli, la famiglia e l’Egitto dalla carestia e dalla rovina. Sono le parole che affiorano sulle labbra di Giuseppe a conclusione del lungo confronto avuto con i fratelli e che per ragioni di brevità si riporta soltanto qui:

«Io sono Giuseppe, il vostro fratello, quello che voi avete venduto sulla via verso l’Egitto. Ma ora non vi rattristate e non vi crucciate per avermi venduto quaggiù, perché Dio mi ha mandato qui prima di voi per conservarvi in vita. Perché già da due anni vi è la carestia nella regione e ancora per cinque anni non vi sarà né aratura né mietitura. Dio mi ha mandato qui prima di voi, per assicurare a voi la sopravvivenza nella terra e per farvi vivere per una grande liberazione. Dunque non siete stati voi a mandarmi qui, ma Dio.» (Gen 45,4 – 8). Nelle pesanti avversità subite, Giuseppe scorge la mano di Dio stesso, che lo inviò in Egitto a preparare la strada alla venuta della sua famiglia. La Chiesa a sua volta ha sempre intravisto in ciò un’anticipazione della vicenda del Cristo e della legge fondamentale che presiede alla storia della salvezza, espressa in queste parole: “il giusto si fa carico dei peccatori”, ciò che i teologi hanno detto nel concetto della “soddisfazione vicaria”.

Si tratta del mistero cristologico, che diviene però anche verità antropologica, perché il discepolo del Signore deve fare suo tutto ciò, entrando in questo intricato disegno e comprendere che la salvezza dei fratelli è ottenuta al prezzo del suo sangue.

Non sottrarti a questo appello, chiamando in causa gli altri, che sarebbero molto più qualificati rispetto a te nel recare sollievo e aiuto. Non dire mai “bisogna fare, bisogna intervenire, bisogna impegnarsi”, ma più semplicemente “faccio, intervengo, mi impegno”. È a prezzo del tuo sangue che potrà apparire qualcosa di nuovo sulla scena di questo mondo. Come è stato per Gesù e come è avvenuto nel caso di Giuseppe, anche suo malgrado! Sì, “suo malgrado”, perché la storia che dovrete rileggere, dice proprio questa grande verità. Giuseppe non ha pensato e ancor meno progettato il piano di cui alla fine si è visto protagonista. Si è semplicemente e involontariamente trovato convolto in ciò, probabilmente si sarà anche ribellato all’infausta sorte riservatagli, ma la docilità a vivere i rivolgimenti della vita e la disponibilità a stare dentro le varie situazioni da lui non volute, lo hanno reso di volta in volta provvidenza a sua volta per gli altri. Non vi sono parole nei capitoli della Genesi per descrivere il suo travaglio interiore, non si narra di interventi divini, rivelazioni o apparizioni, ma unicamente della sua capacità di entrare nelle nuove situazioni, assecondando positivamente le varie richieste. La quaresima nell’ottica di questa mirabile storia dell’antico testamento sia tempo di conversione: • per liberarti da invidia, gelosia, risentimento e fare della vera fraternità la cifra del tuo essere cristiano. • per imparare a pagare di persona e a prezzo del tuo sangue la salvezza di quel mondo famigliare, ecclesiale, civile, ecc. .. a cui appartieni. • per cambiare il mondo stando dentro a quelle situazioni che non hai scelto, ma in cui ti sei ritrovato.

Un saluto a tutti voi nella memoria del nostro “Giuseppe” che ci ha lasciato, ma che dal cielo continua ad assisterci.

Con affetto. GUIDO

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La lotta al male e alle passioni

Praticamente tutte le riflessioni e le predicazioni di p. Giuseppe, oltre che una serie di corsi di
spiritualità, contengono stimoli e strumenti finalizzati a:
• favorire la conoscenza di sé
• ingaggiare la lotta al male che c’è in noi e alle nostre passioni
La conoscenza di sé, derivante dal confronto con la Parola di Dio e dalla direzione spirituale e
sostenuta dallo Spirito Santo, progressivamente ci fa prendere consapevolezza dei nostri limiti,
delle nostre paure, delle nostre fragilità/debolezze, che a questo punto possiamo con fiducia
presentare a Gesù affinché vengano sanate.
La lotta al male e alle passioni è stato un punto fondamentale dell’insegnamento di p. Giuseppe, perché sono l’ostacolo concreto e reale tra noi e la salvezza e ci impediscono di affidarci totalmente all’amore di Dio e alla sua provvidenza.
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Araldo del Vangelo

Innamorato della Parola di Dio e della persona di Gesù Cristo, p. Giuseppe si è fatto araldo di questa parola che risuonava nella sua anima come Via, Verità e Vita. All’annuncio della Parola, attraverso la predicazione, gli incontri di spiritualità, la preghiera e, infine, con la fondazione della Comunità Abbà, p. Giuseppe ha dedicato la vita.
Ascoltare le sue predicazioni e le sue meditazioni ha significato per ognuno di noi sentire il Vangelo prendere vita nei nostri cuori e il desiderio di trasmettere a nostra volta la bellezza di ciò che ascoltavamo, che ha riempito il nostro cuore di gioia e che ha dato alla nostra vita un senso autentico!

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Accogliere la Salvezza

Intimamente connesso all’amore per Cristo, per tutta la sua attività pastorale, con particolare intensità negli ultimi anni della sua vita terrena, per p. Giuseppe c’è stato lo sforzo costante di cercare di aiutare quanti si rivolgevano a lui, o ascoltavano le sue predicazioni, a comprendere che cosa impedisce di accogliere concretamente la salvezza che Gesù ha portato.
Credenti, che nonostante la frequentazione dei sacramenti, la preghiera, i pellegrinaggi, la devozione non riescono a vivere nella gioia e nell’amore e nella libertà dei figli di Dio, non riescono ad accogliere se stessi e gli altri, non riescono a vincere il proprio carattere e le proprie inclinazioni naturali, non riescono a perdonare e a perdonarsi, non riescono a distaccarsi dalle cose materiali e dalle suggestioni di questo mondo.