OMELIE DI P. G. PAPARONE OP

Ap 7,2-4.9-14

Omelia del 1 -11- 2019 – Tutti Santi
Solennità: diventare Santi? Tutto è possibile a Dio

La Chiesa oggi ci invita a celebrare questa solennità facendo memoria di tutti i Santi del Cielo, soprattutto di quelli anonimi: perché i santi canonizzati sono ricordati attraverso le Memorie proprie, ma esiste un’infinità di santi, tante persone, che hanno vissuto nel nascondimento della loro vita, nella fatica, nell’eroicità delle virtù…
Oltre a questo invito a celebrare coloro che sono passati attraverso la “ grande tribolazione”, come dice la Scrittura nella 1^ lettura dell’Apocalisse, la Chiesa vuole ricordare a noi stessi la verità della nostra fede: che è la santità.
La nostra fede non è un moralismo generico, o, se vogliamo, anche ardito, ma è un processo di santificazione. Per noi è difficile capire che cosa significhi santificarsi. Sono convinto che la maggior parte dei credenti forse desidera vivere una vita moralmente integra, in base soprattutto alla propria coscienza, perché il riferimento ultimo è pur sempre la nostra coscienza personale. Anche in quest’ambito esistono molte sfumature di questa moralità, del sentirsi a posto o meno, e anche nella vita della Chiesa ci sono tante spiritualità appunto perché ci sono modi personali di interpretare la sequela di Cristo.
Se si va in un convento o nei monasteri, che sono il luogo specifico del processo o delle intenzioni di santificarsi, e si parla con tante suore e con tanti frati, ognuno di loro parla del proprio modo di concepire la santità, in base a quello che è il proprio sentire… D’altronde, è difficile uscire dalla prigione del proprio “io”, che ci perseguita, purtroppo, anche nel cammino spirituale.
Tutti gli scandali della Chiesa nella sua storia da che cosa derivano? Da questo fatto: che anche nel cammino di santificazione, anche quando abbiamo una buona intenzione in partenza, il nostro “io” ci condiziona ed è proprio su questo “io” che fa leva il grande accusatore, il grande ingannatore.
Anche noi, senza rendercene conto, spesso e volentieri rimaniamo prigionieri del nostro “io” censorio e molte volte la nostra confessione o la nostra direzione spirituale hanno come centralità non Gesù, ma il nostro “io”! Non il Vangelo ma quello che noi filtriamo: perché al centro rimaniamo sempre e solo noi.
Gesù c’è: però quando ho tempo… E se non ho tempo, non mi preoccupo di riservare uno spazio per dialogare con Lui. Se questo riesco a farlo, lo faccio: se non riesco pazienza. Se questo mi interessa lo faccio: se non mi interessa non lo faccio. E’ difficile decentrarsi, è difficile mettere al primo posto la relazione con Dio. Ma la relazione è fatta da due termini: io e Lui, Lui e io.
Perché questa premessa? Perché oggi stiamo celebrando la solennità in cui la Chiesa ci ricorda che la sua vita è la santità e che tutti i credenti sono chiamati a perseguire la santità. E’ importante allora che noi sappiamo bene come raggiungere questa meta e in che cosa essa consiste.
Specialmente noi, credenti, impegnati sinceramente e da lungo tempo in questo desiderio di Dio, abbiamo bisogno di liberarci da tutto quello che ci impedisce di raggiungere questa meta che è difficile perché non riusciamo ad uscire dalla prigione della nostra psiche. Non riusciamo ad uscire dalla prigione di questo pensiero: “Io penso così, io credo così, io sono convinto che è così”…
Bisogna abbandonare tutti questi pensieri! Bisogna abbandonare l’ “io” e rivestire Cristo.
Se vuoi essere cristiano devi pensare come pensa Gesù, non come pensi tu!
Tu pensi così: ma la Chiesa che cosa ti dice?
Il Papa che cosa ti dice di fare?
Oggi, nella prima lettura abbiamo letto questo versetto molto bello:
“Uno degli anziani si rivolse a me e disse: – Questi che sono vestiti di bianco chi sono? Da dove vengono? – Egli rispose – Signore mio tu lo sai, sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide nel sangue dell’Agnello -.
Che cosa significa esattamente: lavare le vesti nel sangue dell’Agnello? I
n prima battuta possiamo pensare all’Eucaristia, l’Agnello immolato, il sangue dell’Agnello sparso sulla croce, che, attraverso i Sacramenti, ci raggiunge e ci rinnova.
Questo è il punto: il sangue dell’Agnello si riversa nella nostra esistenza per rinnovarla, per trasformarla, per cambiarla.
Le vesti sono il simbolo della nostra personalità, un qualche cosa di intrinseco a noi.
Anche attraverso il modo di vestirsi potete capire la personalità di un individuo: chi è disordinato, chi è ordinato, chi è meticoloso, chi è trasandato, chi è raffazzonato…. Il modo con cui scegliamo le vesti, il modo con cui scegliamo un capo, il modo con cui scegliamo il colore, sono lo specchio (per chi sa leggere), di quello che noi siamo.
Che significa, dunque, lavare le vesti nel sangue dell’Agnello?
Innanzitutto che queste vesti possono essere purificate, possono essere rese candide solamente per mezzo dell’aiuto di Gesù.
È difficile fare questo passaggio, perché noi, quando vogliamo essere migliori, ci mettiamo tutta la nostra buona volontà, le nostre lacrime, i nostri pentimenti, le nostre promesse, che, tuttavia, valgono quasi nulla.
È solo Gesù, con la sua grazia, che può realizzare in noi la sua salvezza: noi possiamo mettere a disposizione la nostra buona volontà, ma non è essa che compie l’opera: è Dio che compie le sua opera attraverso la nostra libertà, attraverso il nostro sì.
Come Maria: avvenga di me secondo la tua parola. Ma questo “sì”, che è la condizione imprescindibile per poter permettere a Dio di agire nella nostra vita, richiede che noi abbandoniamo il nostro censore interiore, il nostro io che ci perseguita, che ci accusa, che ci condanna, che ci deprime, che ci mette in conflitto!
Bisogna che diciamo: “Signore, tu lo sai che sono “una schifezza”! Ma io sono amato da Te! Tu lo sai che sono debole, fragile: ma è proprio perché sono debole, fragile ed incapace, che io sono amato da Te”.
Abbandonare il nostro “io censorio” e convincerci di questo amore incondizionato di Dio, è per noi una grande mortificazione…
Pensiamo allora in astratto, per un momento; astraiamoci da giudizi morali, considerazioni e ragioniamo in modo filosofico chiedendoci: “ma noi, nel mondo, che cosa siamo? Nella realtà quanto valiamo?” La risposta è: Quasi niente!
Non siamo padroni, come dice Gesù: potete aggiungere un giorno alla vostra vita? No. Potete aggiungere un capello alla testa? No. Potete decidere quando morire e quando nascere? No. Potete decidere di essere in salute in modo pieno? No.
Che cosa possiamo fare allora? Possiamo o accogliere la vita che viene da Dio o inventarci qualche cosa di nostro… Non si tratta, quindi, di umiliarsi, si tratta di prendere consapevolezza di quello che siamo: siamo creature!
Noi non abbiamo il concetto di “essere creature”: la creatura è colei che dipende dal Creatore, che ha un’ unica autonomia: quella di dire “sì” o “no”, di essere “così” o di essere in un “altro modo”. Questa autonomia ci ha causato e causa sempre, tanti mali a partire da Adamo.
La nostra autonomia è ed è stata fonte del nostro male, non del nostro bene. Può diventare fonte del nostro bene se diciamo al Signore: “ecco, lavami Signore da tutte le mie colpe, purificami dal mio peccato, riconosco la mia colpa”, come dice il salmista. Quindi, è Lui che agisce.
Il passaggio che dobbiamo fare, innanzitutto, è allora dire a noi stessi: “sono amato da Dio, Dio vuole darmi la sua vita, io desidero ricevere ed accogliere la sua vita: è Lui che opererà. Io devo semplicemente “dire sì” tutte le volte che capisco che mi sta chiedendo qualche cosa”.
Mettere in pratica la parola di Dio, è un modo per permettere a Dio di compiere la sua opera di salvezza in noi.
L’ultimo passaggio di cui dobbiamo essere consapevoli è che, per passare dalle vesti non candide, dalle vesti impure alle vesti candide, c’è un cammino da percorrere, c’è un travaglio da attraversare. Con fiducia, abbandono, serenità, semplicità, dobbiamo quindi comprendere che non dobbiamo inseguire i nostri progetti, perché solo Dio sa come, quando e quale tipo di veste vuole darci: per cui dobbiamo lasciare lavorare Lui.
Non si tratta, dunque, di andare a Messa tutte le mattine, se poi sei sempre quello di prima!
Passano trent’anni e sei sempre lo stesso: allora a che cosa ti è servita la partecipazione alla Messa? Forse ti è servita per non farti peggiorare, ma la Messa dovrebbe servire a trasformarci in Lui!
Allora, il Signore ci dice che coloro che raggiungono le vesti candide, coloro che sono beati, sono quelli che hanno lasciato che Dio cambiasse radicalmente il loro modo di essere.
Ecco perché nel Vangelo oggi sono presentate le Beatitudini. Perché sono la meta a cui Dio ci conduce, a cui Dio vuole invitarci, che Dio vuole donarci.
Beati i poveri di spirito: se Gesù dice che sono beati i poveri di spirito, vuol dire che prima di tutto Egli vuole donarci questo.
Ma la domanda è: noi vogliamo diventare poveri di spirito? Vogliamo diventare miti, umili di cuore, misericordiosi, pazienti, longanimi?
Qualcuno dice: “ma è difficile, come faccio?”.
E così ricadiamo nell’errore che ho detto prima: perché quando diciamo “come è difficile”, significa che non abbiamo capito che è Dio che opera.
A noi è impossibile. Gesù, infatti, lo ha detto: ma a Dio tutto è possibile.
Confidiamo allora in Lui, confidiamo nella sua misericordia, abbandoniamoci alla sua azione e Egli compirà la sua opera.
Affida al Signore la tua via, dice il salmista, ed Egli compirà la sua opera.
(1 Novembre 2019)

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La lotta al male e alle passioni

Praticamente tutte le riflessioni e le predicazioni di p. Giuseppe, oltre che una serie di corsi di
spiritualità, contengono stimoli e strumenti finalizzati a:
• favorire la conoscenza di sé
• ingaggiare la lotta al male che c’è in noi e alle nostre passioni
La conoscenza di sé, derivante dal confronto con la Parola di Dio e dalla direzione spirituale e
sostenuta dallo Spirito Santo, progressivamente ci fa prendere consapevolezza dei nostri limiti,
delle nostre paure, delle nostre fragilità/debolezze, che a questo punto possiamo con fiducia
presentare a Gesù affinché vengano sanate.
La lotta al male e alle passioni è stato un punto fondamentale dell’insegnamento di p. Giuseppe, perché sono l’ostacolo concreto e reale tra noi e la salvezza e ci impediscono di affidarci totalmente all’amore di Dio e alla sua provvidenza.

Araldo del Vangelo

Innamorato della Parola di Dio e della persona di Gesù Cristo, p. Giuseppe si è fatto araldo di questa parola che risuonava nella sua anima come Via, Verità e Vita. All’annuncio della Parola, attraverso la predicazione, gli incontri di spiritualità, la preghiera e, infine, con la fondazione della Comunità Abbà, p. Giuseppe ha dedicato la vita.
Ascoltare le sue predicazioni e le sue meditazioni ha significato per ognuno di noi sentire il Vangelo prendere vita nei nostri cuori e il desiderio di trasmettere a nostra volta la bellezza di ciò che ascoltavamo, che ha riempito il nostro cuore di gioia e che ha dato alla nostra vita un senso autentico!

Accogliere la Salvezza

Intimamente connesso all’amore per Cristo, per tutta la sua attività pastorale, con particolare intensità negli ultimi anni della sua vita terrena, per p. Giuseppe c’è stato lo sforzo costante di cercare di aiutare quanti si rivolgevano a lui, o ascoltavano le sue predicazioni, a comprendere che cosa impedisce di accogliere concretamente la salvezza che Gesù ha portato.
Credenti, che nonostante la frequentazione dei sacramenti, la preghiera, i pellegrinaggi, la devozione non riescono a vivere nella gioia e nell’amore e nella libertà dei figli di Dio, non riescono ad accogliere se stessi e gli altri, non riescono a vincere il proprio carattere e le proprie inclinazioni naturali, non riescono a perdonare e a perdonarsi, non riescono a distaccarsi dalle cose materiali e dalle suggestioni di questo mondo.