INTERVISTE

Costruire ponti di fede, costruire comunità

Intervista a p. Antonio Visentin OP

Padre Antonio Visentin OP è dal 2021 priore della Comunità dei Frati Predicatori del convento di Santa Maria delle Grazie a Milano dopo una lunga permanenza a Istanbul. La Turchia è da sempre, ma oggi più che mai, lo dice la cronaca di queste settimane, un Paese protagonista, tra luci e ombre, nella scena politica internazionale. Ma la Turchia è soprattutto culla della nostra fede e crocevia di fedi. A padre Antonio abbiamo posto alcune domande su questo e altri temi.
Comunità Abbà: caro padre, poche persone come lei i suoi confratelli in loco, possono testimoniare la complessità di un Paese come la Turchia. Oggi tra i protagonisti del conflitto in corso vediamo anche due mondi a confronto: la cristianità cattolica e ortodossa. Una volta era scontro: possiamo, oggi, parlare di incontro? Come è vissuto il dialogo interreligioso tra i vertici (sapendo che le chiese ortodosse sono autonome tra loro) e tra i fedeli, “la base”? Crede che entrambe queste realtà potrebbero avere un ruolo attivo in un cammino di pace nello scenario bellico in corso?
P. Antonio Visentin: Ho trascorso gli ultimi 10 anni della mia vita itinerante a servizio del Vangelo nella splendida e suggestiva città di Istanbul che si caratterizza tra l’altro per i suoi ponti che collegano le due sponde del Bosforo, quella europea con quella asiatica. L’immagine del ponte è quanto di più appropriato per definire il dono che lo Spirito Santo ha fatto all’umanità con l’evento del Concilio Vaticano II che ha da un lato rimesso in movimento il cammino dell’unità e della comunione tra le Chiese e dall’altro ha aperto una nuova stagione con i fratelli mussulmani. La Chiesa cattolica con le altre Chiese sorelle di antica tradizione ha dei rapporti molto buoni, specialmente con il patriarcato di Costantinopoli: l’aria che si respira fa proprio bene ai polmoni. La testimonianza della preghiera celebrata insieme, e della carità vissuta nella quotidianità con l’attenzione speciale alle migliaia di rifugiati frutto amaro delle guerre in Medio Oriente, fanno della la comunità cristiana una realtà di pace e di riconciliazione che costituisce il vero benessere di un paese e di una città.
Per quanto riguarda il variegato mondo mussulmano sottolineo innanzitutto la grande ospitalità e “simpatia” manifestata nei nostri confronti in molte occasioni da parte di tantissime persone. Non c’è persecuzione e se c’è una certa ostilità è da parte di certi gruppi nazionalisti e integralisti (ma questa è una realtà presente anche nel nostro mondo occidentale). Con l’islam ufficiale il dialogo si è ultimamente alquanto raffreddato per una indubbia e più marcata islamizzazione in atto nella società turca dopo il tentativo di golpe nel luglio 2016. Ma a livello personale il ponte continua ad essere frequentato: il fuoco del dialogo va tenuto sempre acceso perchè il suo spegnimento comporterebbe un impoverimento e un raffreddamento delle mutue relazioni con danni incalcolabili. E’ innegabile che i credenti hanno una missione insostituibile nella società civile ma è urgente una profonda conversione al Dio della Vita perchè ancora si abusa del suo Nome per giustificare la violenza e altri soprusi nei confronti dell’altro diverso da noi.


C.A.: arriviamo a Milano. Lei è arrivato in un momento storico, quello dettato dalla pandemia, dominato da un senso di fatica e precarietà generalizzate. Dal suo, vostro, punto di vista, al di là di una ridotta frequentazione alle funzioni, per ovvii motivi, nelle fasi più critiche, c’è stata una resilienza anche nella fede, una reazione positiva a livello spirituale? La fede è stata un aiuto nella fasi più critiche, una consapevolezza destinata darle un nuovo slancio?
P. A.V.: L’apostolo Paolo in un passaggio della lettera ai Romani parla della creazione sofferente per le doglie del parto. Siamo in un tempo di gestazione; anche questa “ora” appartiene al Signore che come Pastore fedele non abbandona il suo gregge ma lo sta conducendo verso la pienezza della vita. C’è una Presenza che ci accompagna e che rimane con noi dentro la “fornace ardente” . Non siamo soli nell’attraversare questo deserto della pandemia e della violenza distruttrice della guerra. Il dono più urgente che ha fatto maturare e poi offerto a piene mani dall’albero della nostra esistenza è la Speranza. In questi sei mesi di ritorno in Italia mi fanno riflettere due realtà. La prima è lo smarrimento, un’accresciuta paura e una solitudine che reclamano un sete e fame di comunità fraterne. La seconda è una ferita che va sanata all’interno della Chiesa; mi riferisco allo scollamento con l’attuale magistero di papa Francesco. In non poche persone che partecipano alla vita ecclesiale c’è un evidente fastidio per non dire opposizione allo ” stile” di questo servizio petrino. A me sembra che papa Francesco ci stia riproponendo tutta la forza rinnovatrice del Vangelo di Cristo. E noi siamo più allenati alle novità del mercato che alla novità del Vangelo. Giovanni XXIII verso il tramonto della sua vita diceva che noi siamo all’aurora del cristianesimo. Stiamo camminando verso il mattino ed il mezzogiorno dove la luce si fa più intensa e calda. Allora vivo e guardo il presente e ciò che ci sta davanti con Speranza.


C.A.: si è appena chiuso il giubileo per gli ‘800 anni dalla nascita al Cielo di San Domenico. Una domanda che immagino sia ricorsa spesso in questi mesi nelle vostre comunità: quale nella Chiesa, il ruolo dell’ Ordine dei Predicatori in una fase di crescente, generalizzata scristianizzazione? La Chiesa del post Concilio ha insistito molto negli anni sull’urgenza di una nuova evangelizzazione….
P. A.V.: Siamo un popolo in cammino e chi cammina ha bisogno di ristoro. Madaleine Delbrel parlava costantemente della necessità vitale della preghiera ” Si va alla preghiera come quando si va al mercato perchè la giornata sarà dura e faticosa” . Un popolo in cammino deve imparare sempre a stare unito: nessuna fuga in avanti ma attenzione a non guardare indietro con nostalgia. Il cammino sinodale è una vera scuola di apprendimento al servizio reciproco dove ognuno ha un “posto” insostituibile da sviluppare per la crescita del Regno di Dio. Nessun falso protagonismo (malattia clericale) ma neppure nessun nascondimento o defezione: per innervare il mondo con la sapienza evangelica è vitale la presenza di un laicato maturo che sia testimone del Volto paterno e materno di Dio.

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La lotta al male e alle passioni

Praticamente tutte le riflessioni e le predicazioni di p. Giuseppe, oltre che una serie di corsi di
spiritualità, contengono stimoli e strumenti finalizzati a:
• favorire la conoscenza di sé
• ingaggiare la lotta al male che c’è in noi e alle nostre passioni
La conoscenza di sé, derivante dal confronto con la Parola di Dio e dalla direzione spirituale e
sostenuta dallo Spirito Santo, progressivamente ci fa prendere consapevolezza dei nostri limiti,
delle nostre paure, delle nostre fragilità/debolezze, che a questo punto possiamo con fiducia
presentare a Gesù affinché vengano sanate.
La lotta al male e alle passioni è stato un punto fondamentale dell’insegnamento di p. Giuseppe, perché sono l’ostacolo concreto e reale tra noi e la salvezza e ci impediscono di affidarci totalmente all’amore di Dio e alla sua provvidenza.
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Araldo del Vangelo

Innamorato della Parola di Dio e della persona di Gesù Cristo, p. Giuseppe si è fatto araldo di questa parola che risuonava nella sua anima come Via, Verità e Vita. All’annuncio della Parola, attraverso la predicazione, gli incontri di spiritualità, la preghiera e, infine, con la fondazione della Comunità Abbà, p. Giuseppe ha dedicato la vita.
Ascoltare le sue predicazioni e le sue meditazioni ha significato per ognuno di noi sentire il Vangelo prendere vita nei nostri cuori e il desiderio di trasmettere a nostra volta la bellezza di ciò che ascoltavamo, che ha riempito il nostro cuore di gioia e che ha dato alla nostra vita un senso autentico!

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Accogliere la Salvezza

Intimamente connesso all’amore per Cristo, per tutta la sua attività pastorale, con particolare intensità negli ultimi anni della sua vita terrena, per p. Giuseppe c’è stato lo sforzo costante di cercare di aiutare quanti si rivolgevano a lui, o ascoltavano le sue predicazioni, a comprendere che cosa impedisce di accogliere concretamente la salvezza che Gesù ha portato.
Credenti, che nonostante la frequentazione dei sacramenti, la preghiera, i pellegrinaggi, la devozione non riescono a vivere nella gioia e nell’amore e nella libertà dei figli di Dio, non riescono ad accogliere se stessi e gli altri, non riescono a vincere il proprio carattere e le proprie inclinazioni naturali, non riescono a perdonare e a perdonarsi, non riescono a distaccarsi dalle cose materiali e dalle suggestioni di questo mondo.